Con una recente sentenza (la n. 1898 del 03 febbraio 2015), la Corte di Cassazione ha dichiarato l’illegittimità delle modifiche ai beni condominiali effettuate da un singolo condomino, in assenza di autorizzazione da parte dell’assemblea.

La controversia origina dalla decisione di un condomino di eseguire – a propria cura e spese e senza alcuna pretesa di rimborso da parte del condominio – delle modifiche all’impianto termico condominiale, al fine di migliorarne il funzionamento. L’intervento di cui sopra sarebbe stato del tutto legittimo, considerato che l’art. 1102 c.c. consente ad ogni comproprietario di un bene in comunione di apportare alla cosa comune le modifiche necessarie al miglior godimento della stessa.

La Corte di Cassazione, richiamando una precedente sentenza (n. 9093 del 16 aprile 2007), ha però rigettato la tesi secondo cui l’impianto di riscaldamento sia da considerarsi un bene in comunione tra i comproprietari – che quindi potrebbero, ex art. 1102 c.c., farvi delle modifiche a proprie spese – dovendo invece presumersi, in mancanza di prova contraria, la condominialità. Pertanto le suddette modifiche dovevano seguire l’iter previsto in materia condominiale, e quindi essere approvate dall’assemblea.

La distinzione tra comunione e condominio, che ai non addetti ai lavori può apparire un mero esercizio di stile, è in realtà molto importante considerato che consente di individuare quale sia la disciplina applicabile al caso concreto: il codice civile prevede infatti norme diverse a seconda che si tratti di condominio negli edifici ovvero semplice comunione.

Prendendo spunto da quanto indicato dalla Suprema Corte, si può affermare il seguente principio generale: devono presumersi condominiali quei beni e quei servizi che, in mancanza di una specifica previsione contraria del titolo, sono caratterizzati per un’attitudine funzionale al godimento collettivo; per questi beni e servizi la disciplina applicabile sarà quindi quella del condominio.